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CARI GIORNALISTI, CHIEDETE A PETRA

CARI GIORNALISTI, CHIEDETE A PETRA

(Immagine da Il meteo.it). Tutti i media hanno parlato di Venezia in questi giorni. E tutti (o quasi) hanno abbracciato la teoria del patrimonio prezioso minacciato dalla natura malgrado gli strenui sforzi degli abitanti.  Ciò si spiega perché quando i giornalisti arrivano a Venezia non hanno altre fonti che l’amministrazione comunale, il formidabile ufficio stampa del Consorzio Venezia Nuova, le agenzie più o meno colluse con la politica come il Corila o Vela, al massimo i docenti universitari (dei quali una gran parte ha fornito “consulenze” ai costruttori del Mose). Ne esce il quadro di una città allo stremo, i cui abitanti e amministratori lottano contro emergenze continue.
La realtà, come ben sanno gli spiriti obiettivi, è tutta un’altra cosa. La realtà traspare in alcuni articoli dei giornali locali e nel comunicati di associazioni come Italia Nostra e di alcuni comitati cittadini. Ma sono voci che inutilmente si levano contro l’autorevolezza dei poteri ufficiali (quando è venuta a Venezia la commissione UNESCO per decidere se Venezia era gestita bene, essa si è rivolta, naturalmente, al governo nazionale e al Comune, che hanno fatto di tutto per mantenere i commissari lontani dalle associazioni locali; c’è voluta tutta la costanza della presidente  di Italia Nostra, Lidia Fersuoch, per riuscire a ottenere un’udienza nell’ultima mezz’ora dell’ultimo giorno della loro permanenza. Quello che hanno sentito li ha lasciati esterrefatti!).
Adesso una giornalista straniera, ma residente a Venezia da trent’anni, pubblica su un grande giornale tedesco (la Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung) un informato articolo che descrive la realtà della situazione. I prossimi giornalisti che mi telefoneranno per un’intervista li manderò da lei. Chi lo sa, forse pian piano anche il New York Times vorrà aprire gli occhi dei suoi lettori (come ha fatto il Corriere della sera con un bell’articolo di Antonio Scurati).
Cliccate qui per il testo completo dell’articolo di Petra Reski nella traduzione italiana di Stefano Porreca.

 

 

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