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INNOVAZIONE IN ITALIA, MA QUANTO SIAMO LONTANI!

INNOVAZIONE IN ITALIA, MA QUANTO SIAMO LONTANI!

Mi prendo la pena, non indifferente, di tradurre per intero un articolo comparso il 17 giugno sulla rivista del MIT di Boston, perché può aiutare il pubblico italiano a uscire dall’orticello delle polemiche locali e a guardare al futuro da una prospettiva un po’ più ampia.

L’articolo riguarda la competizione tra USA e Canada per attrarre persone di talento nei loro rispettivi territori (in questo caso nel campo dell’informatica e dell’intelligenza artificiale). Io penso che una lettura anche veloce dell’articolo possa dare un’idea precisa della distanza (abissale, e crescente di giorno in giorno) tra lo sviluppo tecnologico del’Italia e quello dei paesi più progrediti. Ritengo che la cosa sia particolarmente importante per Venezia, perché noi abbiamo la vasta area ex-industriale di Marghera, sulla quale si scatenano appetiti che nulla hanno a che fare con il vero futuro dell’economia mondiale: manca per Marghera, come per il resto dell’Italia, la capacità di guardare lontano e di preparare per le generazioni future un terreno diverso da quello del turismo di massa e delle produzioni a bassa tecnologia, destinate a scomparire. Ecco il testo dell’articolo, che si può leggere nell’originale cliccando qui.

 

TORONTO VORREBBE DIVENTARE UNA SILICON VALLEY GENTILE, SE NON VI DISPIACE

di Brian Barth, 17 giugno 2020

E’ in un freddissimo giorno di febbraio che mi trovo a visitare la Communitech, un attivissimo centro tecnologico che occupa lo spazio di una celebre tintoria di stoffe dell’Ottocento nella città di Kitchener, Ontario. Dentro lo spazio fatto di mattoni e travi a vista, Harleen Kaur apre il cellulare e fa comparire la sua ultima creazione: uno strumento creato per affrontare il problema della disinformazione. Si tratta di una App chiamata Ground News (Notizie dal Terreno), che è una combinazione di notiziario e piattaforma sociale, il cui scopo è combattere le fake news con l’aiuto dell’IA (Intelligenza Artificiale) unita a verifiche sul territorio effettuate dagli utenti stessi.

Cliccando sul titolo “Buttigieg attacca Trump: il mio matrimonio non ha mai comportato, come il suo, di mandare “bustarelle” a una pornostar per comprare il suo silenzio,” apprendo che nei due giorni precedenti la notizia era stata diffusa da 14  siti, tutti di sinistra. E apprendo che se io fossi stato presente alla riunione municipale nella quale Peter Buttigieg, allora candidato alla presidenza, aveva detto quella frase, avrei potuto creare un mio personale articolo usando la App Citizen Journalism (Giornalismo del Cittadino), nella sezione dedicata alle smentite di fake news, articolo che a loro volta altri utenti avrebbero potuto confermare o contestare.

Kaur è una laureata in ingegneria aerospaziale che è poi diventata imprenditrice tecnologica. Viveva negli USA quando l’idea di Ground News la colpì come la mela di Newton. Benché avesse buone ragioni per restare in America – si era nel 2016 – decise di ritornare in Canada per fondare la sua nuova azienda. E’ vero che a sud del confine i capitali di investimento scorrono liberi e fluidi, ma era più importante lanciarsi in quella nuova fase della sua carriera in un paese nel quale regnano i “valori canadesi.”

“Il Canada è più moderato, più rispettoso. Il nostro sistema di valori non si fonda sul guadagnare soldi e avere successo,” dice Kaur, che da ragazza si era trasferita dall’India a Brampton, quartiere d’immigranti a sud di Toronto. I canadesi  sono cordiali tra loro. Io penso che essere cordiale abbia importanza. La cordialità è un valore.”

Kaur non è la sola ad avere lasciato gli USA perché attratta dalla benevolenza canadese. Negli ultimi anni il paese è stato una calamita per le persone dotate di talento tecnologico, facendo ritornare molti canadesi e facendo deviare i flussi di nuovi arrivati dalla Silicon Valley a Montreal, Vancouver e al corridoio Toronto-Kitchener-Waterloo (Grassetto mio). Si tratta di aree conosciute da tempo come incubatrici ed esportatrici di innovazione. Tra le aziende nate qui c’è la Research in Motion (Ricerca in Movimento), fondata sopra una panetteria di Waterloo, che è stata all’origine dell’età dello smartphone e che più tardi ha usato il nome di un prodotto di quella panetteria, il BlackBerry. E qui è nata l’azienda di Intelligenza Artificiale basata sulle reti neurali e fondata da Geoffrey Hinton, professore all’Università di Toronto, azienda poi acquistata da Google nel 2013. I media canadesi hanno battezzato quella regione “Silicon Valley del Nord.”

Alcuni sono attratti dall’immagine del Canada come utopia liberale, dove diversità, inclusione e umiltà trionfano su cupidigia e dogmatismo. E se quest’etichetta è stata forse esagerata dal primo ministro Trudeau rimane il fatto che rispecchia una realtà sostanziale,

Mentre il presidente Trump sigilla i confini degli USA (in aprile ha decretato una sospensione di 60 giorni sulla maggior parte dei permessi di soggiorno, ufficialmente per proteggere gli americani dai danni economici provocati dal Covid 19), Trudeau apre le porte del Canada con crescente entusiasmo. Nel 2018 si è impegnato ad aumentare di 40.000 il numero di immigranti da accogliere nei tre anni seguenti, portando la quota totale a 350.000 nel 2021, e il Covid non ha cambiato quella politica: “L’immigrazione sarà assolutamente la chiave del nostro successo e della ripresa della nostra economia,” ha detto in maggio Marco Mendicino, ministro canadese per l’Immigrazione.

Se è vero che la politica USA verso l’immigrazione ha creato problemi  a molte industrie, è stata particolarmente gravosa per il settore tecnologico, che ha bisogno di lavoratori stranieri altamente qualificati da entrambi i lati del confine USA-Canada. Negli Stati Uniti il rilascio di visti H-1B (quelli generalmente concessi ai lavoratori tech qualificati) è passato dal 94 % delle domande nel 2015 al 76 % nel 2019, e una ricerca ha mostrato che è calato sotto il 70 % in 12 aziende tecnologiche.  Il tempo d’attesa è passato da cinque mesi a circa dieci. Il numero di domande per quel tipo di visto, che era cresciuto costantemente per anni, si è abbassato dopo l’elezione di Trump da 236.000 nel 2016 a 199.000 nel 2017. Nello stesso periodo il programma canadese equivalente ha approvato il 95 % delle domande in due o meno di due settimane.

Ne deriva che Toronto ha creato tra il 2013 e il 2018 più posti di lavoro tecnologici di qualsiasi altro mercato americano. Oggi il gigante immobiliare CBRE la stima Toronto inferiore solo a San Francisco e a Seattle per  il numero di talenti tecnologici. L’agenzia governativa Invest in Canada, incaricata di spingere aziende globali a stabilirsi in Canada, pubblicizza Toronto come avente “la più alta concentrazione di startups del mondo.” Il governo si è spinto fino a pagare per cartelloni pubblicitari nella stessa Silicon Valley, con la scritta “Problemi H-1B? Gìrati verso il Canada,” con un link per il sito web dell’ufficio canadese dell’immigrazione.

(Ecco qui sotto il cartellone originale, da me reperito sul sito del New York Times )

Kaur ritiene che questa reputazione di “cordialità” sia utile anche per la sua impresa. “Il fatto di essere associati al marchio Canada è per noi un beneficio,” dice. “Ci offre un alone di affidabilità e di neutralità.”

Yung Wu è l’amministratore di MaRS, il “Distretto delle Scoperte,” una specie di campus della grandezza di un isolato nel centro di Toronto, nel quale le aziende possono affittare spazi, incontrarsi in un vasto atrio centrale, e collegarsi a servizi il cui scopo è aiutare le startups e “scale-ups” (il passo seguente) a crescere. Ha visto i ricavi delle 1.500 aziende triplicarsi nei due ultimi anni, ma insiste a dire che la tecnologia canadese si pone su un cammino diverso quello della controparte statunitense.  “Per esempio,” dice, “non credo che la bro culture si sarebbe sviluppata anche qui da noi” (è il tipo di rapporti in uso presso dalle “fratellanze” universitarie, goliardiche ma spesso anche arroganti, maschiliste e crudeli, di cui sono stati accusati alcuni ambienti dell’alta tecnologia USA, nota del redattore).  Ciò è dovuto certo ai valori canadesi, ma anche la diversità demografica ha un ruolo nell’equazione, dato che Toronto è considerata una delle città più variegate del mondo e che più della metà dei residenti sono nati in un’altra nazione. Similmente nella zona MaRS, che si autodefinisce “il più grande centro urbano dell’ìnnovazione”  del Nord America, più della metà dei fondatori di aziende è nato all’estero.

Il Canada ha una sua tecno-mitologia. Invece dei “tech bros” ha una forza lavoro che definisce differenziata, riservata e gentile. Mentre la Silicon Valley premia i prodotti che fanno tendenza presso i consumatori, le startup di Toronto mirano a servizi e prodotti per clienti privati e pubblici meno orientati a catturare l’immaginazione del pubblico. Mentre la California produce “unicorni” (le compagnie tecnologiche valutate un milione di dollari o più), i tecnologi canadesi parlano di dare vita a “narvali”, prendendo il nome dalle piccole e solitarie balene, dotate di  una lunga zanna, che abitano le acque dell’Artico.

Gli Stati Uniti producono molti più unicorni di quanti narvali produca il Canada. Però, dice Wu, il confronto va oltre le semplice valutazione finanziaria. “Nella Valley ha luogo quella caccia di animali immaginari. Il narvalo invece esiste veramente. Non è il prodotto di valutazioni private miranti ad alzare le valutazioni private del giorno prima, senza alcuna necessaria somiglianza con le compagnie reali che si rivolgono a consumatori reali con radditi reali. I narvali sono rari, ma non sono animali immaginari.”

La domanda è se i tranquilli narvali del Canada possono sollevare onde sufficienti a cambiare la traiettoria dell’industria tech globale.

I canadesi sono notoriamente ben educati e generalmente non si danno da fare per criticare i loro vicini del sud. Malgrado questo c’è sotto sotto un ardente nazionalismo che può prendere la forma di disgusto verso certi aspetti della cultura americana, come l’eccesso di individualismo e certe enfatiche autocelebrazioni verbali. E a volte quel disgusto erutta come un potente conato di vomito. E’ quello che è accaduto con l’arrivo dei Sidewalk Labs (Laboratori del marciapiede).

Nel marzo 2017 l’agenzia governativa Waterfront Toronto, incaricata di riconvertire un’area ex industriale di 800 ettari sulle rive dell’Ontario lanciò un bando per proposte circa la creazione di un distretto “smart-city” in un lotto di circa sei ettari, chiamato Quayside. In ottobre si tenne alla presenza di Trudeau una fastosa cerimonia per l’annuncio dei vincitori: Sidewalk Labs, un’azienda di rinnovamento urbano di proprietà di Alphabet, a sua volta posseduta da Google. Sidewalk era stata scelta a scapito delle compagnie canadesi che avevano partecipato al concorso, ma il governatore dell’Ontario, il sindaco di Toronto e l’allora AD di Alphabet Eric Schmidt parlarono entusiasticamente di un piano di costruire un quartiere “dall’internet in su.”

Presto si cominciò a parlare di espandere il progetto alla zona chiamata Port Lands, 400 ettari di zona industriale abbandonata adiacente al Quayside. Era probabilmente il piano di smart-city più ambizioso al mondo, che includeva progetti per l’uso di sensori e monitoraggi in grado di creare una vasta quantità di dati che si poteva usare per i bisogni di famiglie e aziende residenti, per gestire i trasporti e perfino per calcolare le singole bollette per il ritiro dei rifiuti. L’idea era di sviluppare l’architettura digitale di un sistema operativo urbano che potesse poi essere esportato globalmente, allargando il dominio di Alphabet dal ciberspazio allo spazio pubblico. La cosa poteva diventare un successo epocale non solo per Sidewalk ma anche per Alphabet e per il governo canadese.

Ma alcuni esperti di tecnologia canadesi non erano così entusiasti. Jim Balsillie, il miliardario che era stato amministratore delegato di Research in Motion fino al 2012, lanciò una campagna per far bocciare il progetto.

Quayside non sarebbe una “smart city,” scrisse in un intervento. “E’ invece un esperimento di colonizzazione da parte del capitalismo di sorveglianza.” Dal suo punto di vista il reticolato di sensori proposti da Quayside (che la Sidewalk Labs riteneva necessari per la raccolta di rifiuti via robot, per i sistemi ad alta efficienza e altre migliorie digitali) corrispondevano a un piano di potere orwelliano, che avrebbe fornito informazioni private di cittadini canadesi (come indirizzi, abitudini d’acquisto e così via) alle poderose mascelle di Googlel, divoratrici di dati.

(Commento del traduttore: La smart city non si farà, giustamente. Ma intanto il governo canadese ha dato un esempio di come si può “convertire” una zona industriale abbandonata, esempio che potrebbe essere utilissimo per chi oggi in Italia si occupa di Marghera, o dovrebbe occuparsene).

Cliccare qui per l’articolo nell’originale inglese sul sito del MIT.

Cliccare qui per vedere come il governo canadese cerca di attrarre anche cittadini italiani.

Il giro lungo di Checco CanalIl giro lungo di Checco Canal
Un veneziano all’estero: andata, soggiorno e ritorno.
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