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I VENEZIANI IMPRENDITORI VISTI DALL’INTERNO

I VENEZIANI IMPRENDITORI VISTI DALL’INTERNO

Mi dispiace dover essere ancora pessimista sulle sorti della nostra città, ma vi segnalo un lucido e realistico intervento del giornalista Silvio Testa, che in tre brevi pagine ben descrive la Venezia di oggi e quella che possiamo aspettarci per domani. Silvio Testa conosce bene i veneziani dall’interno: giornalista del Gazzettino per trent’anni, è stato tra i fondatori della Vogalonga, poi presidente della Canottieri Giudecca e (tra le altre moltissime cose), fondatore e presidente di Pax in Aqua fino ad essere per due anni portavoce del Comitato No Grandi Navi. Tra i suoi numerosi libri ci sono un’avvincente  storia della Vela al Terzo a Venezia, un romanzo “docufiction” (La Zaratina, Marsilio 2017) e due aurei libretti della serie “Occhi aperti su Veneza” dell’editore Corte del Fontego.
Il suo occhio è intelligente, colto e disincantato. Per questo ritengo i suoi interventi sempre illuminanti e per questo vi propongo le tre pagine che seguono. Esse sono comparse tra i contributi raccolti nel volume “Dal caranto della laguna” curato da Giovanni Benzoni e uscito nello scorso ottobre 2019 per le edizioni La Toletta. Cito qui solo un breve capoverso sulle responsabilità dei veneziani:
Non è stato un destino cinico e baro a ridurre Venezia nelle condizioni pre Covid – 19; non sono stati i marziani ma sono stati i veneziani stessi a creare l’equazione Venezia uguale Disneyland, trovando in Brugnaro, il cui appellativo omericamente potrebbe essere “Apritore d’alberghi”, la loro guida perfetta. Ha già lanciato la parola d’ordine per il rilancio della città: “Turismo”! Ma gli ha
subito fatto eco il suo principale antagonista per lo scranno di sindaco, Pier Paolo Baretta: “Turismo”!
E sul futuro che ci aspetta ecco la previsione:
In democrazia non puoi imporre scelte politiche a una maggioranza recalcitrante: la Venezia che vorrei potrebbe rinascere solo sottraendo la città ai veneziani, commissariandola in nome della sua specialità, ma anche questo non succederà, figuriamoci. E a coloro che giudicheranno troppo duro il mio giudizio sui miei concittadini racconto un apologo.
Lascio a voi amici che siete arrivati fin qui il piacere di godervi l’apologo, che si trova verso la fine dell’intervento che riporto qui sotto, con il permesso dell’autore.

Quanti buonisti illusi
di Silvio Testa

Il 5 dicembre 1933 gli Stati Uniti festeggiarono la fine del Proibizionismo con una sbornia colossale e negli anni seguenti le entrate del Governo crebbero a dismisura grazie alle tasse sui liquori, mentre nell’industria collegata si crearono un milione di posti di lavoro: dopo tredici anni di forzata astinenza alcolica il consumo riprese più e peggio di prima.
Se al posto dell’alcol mettiamo il turismo, penso che qui a Venezia avverrà la stessa cosa: l’odiosa giostra riprenderà anche in Laguna “più e peggio di prima”. Come accade in Borsa, dopo ogni “crollo”, come si dice, segue immancabilmente “un rimbalzo”, e i titoli salgono di nuovo.
Sono tra i pessimisti, guardo quasi con stupore quegli aruspici che, senza spiegare come, vaticinano dicendo: “tutto dovrà cambiare”, “dovremo imparare la lezione”, “nulla sarà come prima”, “il Covid – 19 imporrà un cambio di passo”… ma quando mai? La gente non vede l’ora di ricominciare.
Mi pare che quanti immaginano un futuro diverso da ieri siano delle anime belle, che da fatti contingenti traggono conclusioni epocali e che soprattutto non conoscono l’ostinazione, anzi la pervicacia dell’uomo nel perseguire il male, purché gli torni utile. E’ sempre stato così, anche dopo le pandemie medioevali di peste, che mietevano nella sola Venezia tanti morti quanti oggi il Covid – 19 a livello mondiale.
Nei giorni scorsi ho ascoltato quell’istrione acuto e simpatico di Mauro Corona su Rai 3, a Cartabianca, dire un’assoluta verità. Circa così: “Se fosse accertato senza ombra di dubbio che l’uso del telefonino fa venire il cancro, credete voi che la gente smetterebbe di usarlo? No: continuerebbero tutti a tenere il cellulare attaccato alle orecchie”. Appunto.
In effetti la gente non pensa: chi in questi giorni di Coronavirus guarda la meravigliosa Venezia che la pandemia ci ha regalato, per quanto a caro prezzo, e ne gode il silenzio, la quiete, la pace dei canali trasparenti e senza un’increspatura, è quella stessa minoranza che solo un paio di mesi fa sbuffava nel farsi largo a gomitate nelle fondamente santuari dello spritz; o strisciava porconando lungo i muri schiacciato dalle torme dei turisti; o inveiva mentalmente contro qualche famigliola straniera che nella calle più recondita di Castello o di Cannaregio rientrava nel proprio bed & breakfast; o scuoteva la testa nel vedere l’ennesimo palazzo trasformato in albergo.
Ma gli altri? Tutte quelle migliaia di “imprenditori” che hanno aperto bar, ristoranti, cichetèrie? che piuttosto che affittare ai veneziani hanno trasformato in b&b i loro appartamenti, magazzini, sottoscala? che padroni d’albergo piangevano il morto contro il turismo di massa avendo loro stessi aperto centinaia di appartamenti turistici? che travestiti da nobilomeni rinascimentali portavano in giro i foresti? che con kayak e sàndoli e batèle facevano conoscere agli stranieri l’”altra Venezia” dei “cichèti tour”, naturalmente “salvando la pratica secolare della voga”? che coi taxi arroganti e sguaiati distruggevano la pace, le rive e la cultura secolare del remo? che coi topi da trasporto garantivano merci e forniture perché la giostra non si fermasse? che con l’abbronzatura da vacanze invernali alle Maldive tranne che sotto i rolex o le catene d’oro riprendevano il loro posto sulla gondola sbarcando il sostituto? che con le loro agenzie facevano da sponda ad altrettanti “imprenditori” che da Rimini a Trieste lucravano sul cadavere di Venezia? che si strappavano le vesti se qualcuno osava protestare contro lo sfregio delle grandi navi da crociera? Eh, cosa si pensa? che tutti costoro siano scomparsi? che siano stati fulminati sulla via di Damasco dalla bellezza finalmente riapparsa di Venezia e che, pentiti, si siano ripromessi di fare ammenda e di ripartire, non appena possibile, con un altro passo?
Ma quando mai! Sono tutti lì, in sonno, pronti a riprendere le armi contro la città pur di riempirsi le tasche, spolpando l’osso fino all’ultima fibra. Ci vorrà un poco di tempo, la giostra non riprenderà a girare in un giorno, ma i giostrai sono pronti a oliare i loro meccanismi. Magari non proprio gli stessi “imprenditori” di prima: qualcuno avrà avuto difficoltà, non avrà avuto il denaro per le rate del mutuo per la ristrutturazione del bar o del b&b, perderà il suo investimento, ma altri lo sostituiranno, perché quel che conta non è la sorte del singolo, ma il futuro della specie, quella che si nutre scarnendo Venezia. O si pensa che sia un caso, un accidente della sorte, che Venezia abbia per sindaco un personaggio come Luigi Brugnaro? Diciamolo pure: non è il massimo della raffinatezza e della presentabilità, ma è esattamente lo specchio di quel che la città era diventata e tornerà ad essere.
Qual è la Venezia che vorrei dopo il Covid – 19? Basta leggere in filigrana quel che ho scritto finora per capirlo: una città con un mix equilibrato di attività, anche turistiche, improntate alla sostenibilità e al rispetto della sua delicatezza. Una città con tanti residenti sufficienti a conservare una rete variegata di negozi di vicinato, nella quale i bambini giochino nei campi risuonanti delle loro grida e del nostro bel dialetto. Una città nella quale regni il rispetto reciproco, il traffico sia regolamentato, le carene e i motori delle imbarcazioni siano compatibili con i rii e con la Laguna. Una città normale, insomma. Ma chiedo molto, lo so.
Ci sarebbero politiche per ottenere tutto questo, partendo dal mettere non i ridicoli tornelli ma una soglia al numero quotidiano dei turisti in città, limitati attraverso un meccanismo di prenotazioni e di controllo degli accessi, e subordinando l’apertura delle affittanze turistiche a una licenza comunale, da contingentare in proporzione al numero dei residenti e alla consistenza del patrimonio edilizio residenziale, poi tutto il resto verrebbe all’incirca da sé. Ma non succederà.
Non succederà perché non è stato un destino cinico e baro a ridurre Venezia nelle condizioni pre Covid – 19; non sono stati i marziani ma sono stati i veneziani stessi a creare l’equazione Venezia uguale Disneyland, trovando in Brugnaro, il cui appellativo omericamente potrebbe essere “Apritore d’alberghi”, la loro guida perfetta. Ha già lanciato la parola d’ordine per il rilancio della città: “Turismo”! Ma gli ha subito fatto eco il suo principale antagonista per lo scranno di sindaco, Pier Paolo Baretta: “Turismo”!
Certo, entrambi hanno temperato il concetto con aggettivi e considerazioni: Brugnaro ha parlato di modello da rivedere, di degenerazione da mitigare (lui!). Baretta di nuovo equilibrio del turismo; entrambi con i soliti riferimenti al ripopolamento, all’artigianato, all’imprenditoria illuminata, ma nessuno ha spiegato come, con quali programmi, mezzi, risorse.
Brugnaro, con le sue sceneggiate contro il prudente isolamento e poi a favore del diportismo nautico a motore, senza una parola per chi va a remi o a vela; con le sue piazzate (cioè in Piazza San Marco) con chi finora si è ingrassato sul “modello da rivedere”, ha ben fatto capire da che parte batta davvero il suo cuoricino: ha avuto più di quattro anni, e, a parte gli alberghi a Mestre, le uniche cose che ha partorito sono la deregolamentazione dei cambi d’uso per facilitare la trasformazione turistica del patrimonio edilizio e la scempiaggine dei tornelli.
Baretta, dal canto suo, non ha capìto che le grandi navi da crociera altro non sono che l’epìtome del turismo predatore, e tuttora le sostiene. Direi che per lui basta questo. Voglio vedere come i due andranno contro la città che finora così bene hanno rappresentato!
In democrazia non puoi imporre scelte politiche a una maggioranza recalcitrante: la Venezia che vorrei potrebbe rinascere solo sottraendo la città ai veneziani, commissariandola in nome della sua specialità, ma anche questo non succederà, figuriamoci. E a coloro che giudicheranno troppo duro il mio giudizio sui miei concittadini racconto un apologo.
Sotto casa ho un vecchio cofano, di quelli da valle, e da qualche settimana, il mercoledì, distribuisco a remi, con la mia compagna, la verdura di un’azienda biologica di Caltana ai componenti di un gruppo d’acquisto di cui faccio parte. Dico la verità: lo faccio quasi più per il piacere di vogare in un contesto di pace dimenticato che non per la verdura in sé: da anni usare il cofano era diventato impossibile per il traffico e le onde di una violenza inaudita, e quelle volte che ci provavo erano più la rabbia e il nervoso che ne traevo che non il piacere, ma nelle scorse settimane mi ero riappacificato col mondo.
Ebbene, è bastato che il presidente della Regione, Luca Zaia, ammorbidisse di un pelo l’ordinanza che regola i comportamenti, e che il Governo decretasse una parziale “libera uscita” a partire dal 4 maggio, perché dopo appena pochi giorni le cose già cominciassero a tornare “normali”: molte più barche in giro, Rio di Noale di nuovo trafficato, patane col bum – bum – bum da disco music, nessun rispetto per chi va a remi.
Oggi, 6 maggio, alle Fondamente Nuove un topo, uscito dal Rio de la Panada, ha fatto un maremoto per andare a legarsi all’inizio del Rio dei Mendicanti: neanche cinquanta metri! Qualcuno crede che chi lo governava abbia pensato a quanto bella era Venezia nei giorni scorsi, ammesso che se ne fosse accorto, e si sia ripromesso di rispettarla?
E’ solo questione di tempo…
Silvio Testa

 

Il giro lungo di Checco CanalIl giro lungo di Checco Canal
Un veneziano all’estero: andata, soggiorno e ritorno.
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