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ALTRA NAZIONE, ALTRE UNIVERSITA’

ALTRA NAZIONE, ALTRE UNIVERSITA’

Siamo ai primi anni settanta del secolo scorso. Il luogo è la valle amplissima e verdeggiante del fiume Hudson a nord di New York e, a qualche chilometro dalle rive del fiume, un campus universitario con i prati coperti da un leggero strato di neve, gli edifici neogotici dagli archi ad ogiva che a me ricordano la lontana Venezia, i sentieri segnati dai passi delle studentesse (è un’università per sole donne), i docenti e le allieve che s’incrociano e salutano con i loro fasci di carte o di libri sotto il braccio.

Tra pochi giorni è Natale e questa mattina, ore dodici in punto, ci sarebbe il concerto offerto per l’occasione dal coro delle studentesse nella grande cappella del campus. Ci vado? Magari tanto per vedere, sono un po’ curioso.

Così decido per il sì. Esco dal mio ufficio, saluto la segretaria, signora Kerr, e mi avvio verso la cappella. Mi aspetta un’esperienza che ricorderò per tutta la vita.

Che ne sapevo io, che venivo dall’oratorio dei padri Cavanis e dalle aule del Marco Polo, del Messia di Hendel, anzi Messiah come si scrive qui, pronuncia Messaia? Che ne sapevo del fatto che in quest’università dove insegnavo c’era anche una Scuola di Musica con una sezione per il Canto dotata di un magnifico coro? E che in quest’occasione avevamo invitato il coro maschile della Yale University (scuola, allora, per soli maschi)?

Nella cappella addobbata a festa c’erano, schierati davanti all’altare, i ragazzi e ragazze delle due università con una piccola orchestra composta da altri studenti. I ragazzi erano vestiti di nero, le ragazze di bianco. E la musica… la musica era gioiosa, trionfale, angelica, divina.

La musica trasportava in un mondo di bellezza, d’impeccabili geometrie e di perfezione formale. Studenti e studentesse offrivano quell’omaggio ai docenti e agli altri membri della comunità accademica; su tutto aleggiava uno spirito di corpo, di armonia e d’appartenenza come non si poteva neppure immaginare negli atenei italiani. Era anche un senso di élite, senza dubbio, e la bellezza suprema del canto aveva forse anche questa funzione, di unire i partecipanti in un’esperienza destinata a restare indimenticabile.

Infatti mi ritorna più forte che mai questa mattina, quando, a distanza di molti anni, ascolto la radio italiana che celebra il Natale trasmettendo il finale del Messiah. E mi coglie un insopprimibile sensazione di nostalgia.

Cliccare qui per una magnifica versione del Messiah su You Tube.

Un veneziano all’estero: andata, soggiorno e ritorno. Compratelo qui o leggetelo qui con molte più illustrazioni.

 

 

 

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